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CdS-Napoli, lo Spalletti segreto: il ritratto del nuovo tecnico

L’allenatore toscano aveva una voglia matta di tornare in gioco. In azzurro lotterà per il titolo che gli manca: lo scudetto

di Giancarlo Dotto

ROMA –  Spalletti a Napoli, fidatevi, sarà una goduria. Spettacolo garantito. Pochi mesi e sarà il Luciano più celebre tra Forcella, il Vomero e Santa Lucia, insieme a De Crescenzo, il Luciano indimenticabile della Napolitudine. Ci sta come un babà il suo cranio lucente e il suo occhio di brace nel ventre borbonico di quella che non è una città, ma la più bella e la più grandiosa di tutte le battaglie perse. Un delirio unico al mondo. Già la vedo la sua statuina nei presepi di Gregorio Armeno aggiungersi a quelle di Totò, Maradona e Troisi, confondersi con le Madonne, i Pulcinella, gli altari e gli stracci alle finestre, ogni bottega un’invenzione scenica, lungo i budelli millenari e le facce assurde di Spaccanapoli. Dovesse presentarsi per il prossimo Natale in testa al campionato, non escludo la statua in terracotta, legno e seta a grandezza naturale. Luciano sarebbe tornato più che volentieri nella sua Roma, per la terza volta, ipotesi più che ventilata quando Fonseca ha preso a traballare, coerente al suo addio in versione Califano: non escludo che ritorno. Giusto così, invece. Nella storia bella densa e anche qua e là tribolata dell’uomo di Certaldo mancava solo una cosa, un giro nel manicomio allegro di Napoli. Bravo Aurelio de Laurentiis a fare ciò che andava fatto. Due nomi su tutti in locandina, Lucio e Aurelio, due teste fumanti quasi quanto il Vesuvio, sperando non diventino pistole fumanti. Non vedo l’ora, a proposito, prima di ogni altra ora, del giorno in cui sarà Roma contro Napoli e dunque Lucio contro Mou. Ne vedremo e ne ascolteremo delle belle.

 

Luciano Spalletti è pronto per Napoli

Sei anni di Roma sono un potente vaccino. A Napoli tutto è teatro, a cominciare dalla morte. La sua non è altro che la versione infinitamente meno malata e meno nevrotica della passione in forma di assedio. Appena si è sparsa la voce di lui sulla panchina del Napoli, sono stati consensi, ma anche dubbie domande ansiose: «Ma non sarà che Spalletti non regge i capitani, i calciatori di personalità? Caccerà anche il nostro Insigne, dopo aver fatto la guerra a Totti e litigato con Icardi? E Cassano? Vi ricordate di Cassano messo al bando?». Tranquilli. Timori infondati. Spalletti ama i campioni, ma pretende che giochino di squadra, che siano esempio alla squadra. Su questo non transige. Ma dategli tutte le perle della terra e si commuoverà. Da calciatore ha remato nei bassifondi. Era un centrocampista sgobbone, mai andato oltre la serie C, ma il suo idolo era Antognoni, talenti in cui la maglia si confondeva con la pelle. «Sì, ma non sarà che Spalletti scapperà anche da Napoli alla prima diffi coltà, come è scappato da Roma?». Bugie. Peggio che bugie. Le comode “verità” di quella vacca pigra, vigliacca e decerebrata che è la folla ai tempi dei social. Al contrario. Imparerete presto ad amare i suoi umori lunatici e la sua dedizione alla causa, gli sguardi persi nel vuoto e quelli a caccia eterna di nemici. Spalletti e i suoi fantasmi tra i fantasmi di Eduardo. Un copione perfetto. Una cosa: se avete visto la serie su Totti scordatevela in fretta. Quello non è Spalletti, ma una sua comoda caricatura. Come il suo omonimo Lucio Cincinnato, il nostro lascia la vanga e l’aratro dopo due anni di sabbatico e di Covid, molto ben retribuiti anche per sopportare la frustrazione di vedere il per niente amato (eufemismo) Antonio Conte viziato e accontentato in ogni suo capriccio, sopportato anche quando scambiava la società per uno di quegli alberi dove i cani marcano il territorio, nella stessa piazza in cui lui ha dovuto battersi a mani nude e la sensazione di essere sopportato. Per due anni si è travestito da quello che è, un uomo della terra, un contadino felice e solitario dalle mani grandi, che fa il vino (un ottimo vino, tante varietà e tutti nomi calcistici, il rosé “Tra le linee”, i rossi “Bordocampo”, “Rosso di-retto” e “Contrasto”, il mio preferito, quello che più gli somiglia, merlot e sangiovese nella stessa vite), il tutto rigorosamente coltivato e tracannato con gli amici di sempre delle galline del Cioni. Trastullandosi con tutti i suoi animali, i cavalli, Astra il preferito, i quattro ciuchi, le anatre, i cani, gli struzzi, tutti. Niente gatti e ma-iali. A vezzeggiare la sua latente misantropia verso tutto ciò che non ha l’odore delle sue radici e le sue amatissime collezioni. Auto d’epoca, martelli antichi e maglie dei calciatori. Centinaia di maglie piegate con cura maniacale.

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