Cds Allenatore e psicologo: è così che ha dato nuova linfa al Napoli. Ha scelto il dialogo, ma anche la chiarezza e un’analisi severa e rigorosa che eviti i compromessi
Il modulo: Demme, Lobotka e Politano scelti per far sognare ancora con il 4-3-3
Ma chi, dove e quando si lascia cullare, come a Napoli, dalla rievocazione di un’epoca ch’è stata bella, anche bellissima, e che resta incollata alla pelle? Quello non è un modulo, ma un modello di riferimento, sa di epica calcistica, contiene in sé un sogno, seppur svanito, ma che però ha rapito: 4-3-3 e tutto passa, magicamente, come la proiezione nel passato, come un film della memoria. E se provate a farvi un giro sui social, ritroverete scandito, ritmato dal suono del campanellino che celebra il tocco di ogni calciatore, il primo gol di Marassi: ce ne sono stati poco meno di trenta, sono serviti per accerchiare e spostare la Samp, sono stati «sporcati» – maledizione – da un intervento di Tonelli, che sapeva tutto, però poi hanno trascinato in quel limbo ch’è il rimpianto. Gattuso sa bene che non si possono replicare le squadre, né si deve, però si porta appresso anche lui quel desiderio, restando se stesso, del 4-3-3: il possesso palla, la catena di sinistra che si lascia preferire a quella di destra, gli esterni che vanno dentro al campo e le mezze ali che irrompono. E il Napoli è già sufficientemente istruito a ricostruirsi tatticamente, gli viene persino naturale ritrovare quella sua natura vagamente scugnizza, sicuramente accattivante: ed è pure la strada più sicura, in questo momento, per evitare trappole. Per questo hanno acquistato Demme, Lobotka e Politano: per piacersi.
I fedelissimi: Manolas e Insigne sempre presenti: trascinatori caratteriali e tecnici
Fedelissimi si diventa, per scelta o anche per necessità: Gattuso ha miscelato le proprie certezze con l’emergenza che si è ritrovata addosso, ha rischiato, è riuscito a non traballare anche dopo la rovinosa nottata con la Fiorentina, nella quale – per restare fedele a se stesso – ha voluto radicarsi nelle sue convinzioni. Però ha solleticato l’orgoglio di uomini nei quali ha creduto, sempre, ha lasciato che fossero i pilastri d’una rielaborazione tecnica d’uno spartito che apparteneva a Callejon e a Insigne, a Zielinski e a Hysaj, tutti uomini dentro al sistema di gioco. La sorte gli ha sottratto Koulibaly, Maksimovic, Allan e Mertens e il turn-over un po’ è sparito e un po’ è stato soppresso: l’unico dubbio, che ancora esiste, e che il tempo risolverà, rimane tra i pali – Meret oppure Ospina, si vedrà – ma la corsia di destra, avendo Di Lorenzo guadagnato lo status di centrale, in assenza del K2 e di Maksimovic, è stata consegnata a Hysay e quella opposta a Mario Rui; e davanti, nelle ultime quattro partite, il tridente iniziale non è mai stato ritoccato, né alterato (da destra a sinistra: Callejon, Milik e Insigne). Gattuso ha deciso di procedere, e un po’ ci è stato costretto, attraverso uomini già «eruditi», ai quali concedere poi le proprie dinamiche di calcio. Un leader caratteriale o tecnico per settore (i sempre presenti Manolas in difesa e Insigne in attacco) a cui aggiungere poi Demme, ora che c’è, in mezzo al campo. Un marchio personale.
Riti e ritiri: il faccia a faccia voluto dal gruppo e i 100 minuti di allenamento
Il ritiro, il padre di tutti i malesseri (nati il 5 novembre, dopo il no della squadra ad andarsene a Castel Volturno) è ricomparso, prepotente, il 18 gennaio, quando Napoli-Fiorentina è finita e una crisi, ampia e persino clamorosa, è stata certificata: «È una decisione che ha preso la squadra, dobbiamo guardarci in faccia». E fu una notte salutare, sfruttata per confessarsi a lungo, sino a un orario insolito e persino improbabile; poi, all’alba, allenamento e tutti a casa. Casa Napoli è a Castel Volturno e lì dentro, rinchiusi nell’ampia sala stampa, Gattuso, sistemato dietro l’enorme tavolo che l’accoglie per le conferenze, ha avuto modo di parlare – e ripetutamente, quasi fosse un rito – ai calciatori, che gli stavano parati di fronte, a semicerchio. «E non sapete neanche quante volte siamo stati qua per riuscire a capire cosa ci stesse succedendo: e io dai ragazzi ho ottenuto la massima disponibilità e di questo deve essere a loro grato». Gattuso, per entrare nella testa del Napoli, ha dovuto studiarlo con una full immersion: «Io sono fatto così, questo è il mio modo di essere». E poi c’è (ovviamente) il sistema allenante: Gattuso ha introdotto, chiaramente, i propri metodi, cento minuti d’ordinanza, infarciti da un dialogo continuo per abituare il Napoli alle proprie teorie, per farlo calare nelle sue abitudini, per introdursi anche nella «carne» di una squadra della quale doveva impadronirsi