Questa è l’Italia di Lorenzo. Va incontro alla storia per sfidarla in una partita che vale uno spareggio, quattro anni dopo – era il 13 novembre – l’esclusione con la Svezia, quando il fantasista restò a guardare il disastro dalla panchina. Oggi il copione è il suo. Ed è fatto di una poesia senza rime baciate, di tiri a giro e invenzioni che non s’imparano a memoria, ma si recitano a soggetto. È la rivincita di un giocatore unico. Non perché il più bravo, ma perché capace di dettare un’identità. Se l’adotti, come ha fatto Mancini, non puoi scrollartela di dosso senza subire una crisi esistenziale.
Questa è l’Italia della creatività che un allenatore unico e un giocatore unico vogliono portare al comando del mondo. È un’impresa che passa per una cruna strettissima. Perché anche la Svizzera è tutt’uno con la sua identità di Paese neutrale, forte di una ricchezza autarchica che si misura solo con il suo antropologico isolamento, indisponibile a fare sconti e senza timori reverenziali. Ha il carattere sportivo del suo algido paradiso civile.
Non sarà una passeggiata. Poiché la posta in palio è così alta da relativizzare il divario qualitativo. Vince chi ci crede di più, chi sviluppa più determinazione collettiva. Gli azzurri hanno buoni motivi per ragionare con una sola testa e un solo cuore. La qualificazione ai Mondiali è il crocevia che può fare del trionfo europeo il primo pilastro di un’egemonia proiettata nel futuro.
Lorenzo condivide questo destino con Verratti, Jorginho e Immobile, che pure guarderà Italia-Svizzera della tv. È una generazione di atleti che può aprire un ciclo simile a quello della Spagna nel 2008, o piuttosto uscire dalla scena che conta. Per un calciatore trentenne come il fantasista azzurro, mai riconosciuto pienamente per quello che lui sente e sa di valere, il treno non passerà un’altra volta. È come se in un giorno solo sfilassero davanti tutte le occasioni incompiute o perdute della sua carriera, offrendogli la chance supplementare di riacchiapparle. Così il passaporto per il Mondiale si proietta nella trattativa per il rinnovo del suo contratto, o nella sfida di misurarsi lontano da Napoli. In una sera Lorenzo può prendere o rischiare di lasciare tutto.
Accade nella primavera novembrina, che mette di buonumore con la sua inconsuetudine, anche se evoca tracolli climatici. Accade nel calore di uno stadio dove l’Italia accende passioni senza campanili. Accade tra gli scontri verbali che circondano l’infortunio di Immobile, secondo un copione tristemente noto al calcio italiano, come se si fosse sul Titanic a disputarsi la cabina migliore mentre si rischia di affondare, e a dispetto dello sforzo della Nazionale di sventare il naufragio. Gli azzurri che vincono a Wembley e che lottano per bissare il successo in Qatar sono molto di più di ciò che la classe dirigente del calcio nazionale merita.
Ma, per fortuna, delle polemiche che agitano la viglia di Italia-Svizzera non c’è traccia nel guscio ovattato di un gruppo guidato da un pastore di anime, che sa, per averlo vissuto, che cosa passa nella testa di un calciatore nell’attesa di una partita così. Mancini è lo scudo di tutte le ambiguità e i veleni che minacciano il giocattolo. Ci stringiamo a lui con piena fiducia. Il resto stasera non conta.