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CdS-29 aprile 1990, Baroni stende la Lazio: a Napoli è festa scudetto

Il colpo di testa dell’ex Lecce su assist di Maradona decretò gli azzurri campioni d’Italia per la seconda volta. Beffato il Milan di Sacchi

 

È la mattina del 29 aprile 1990, i Mondiali sono ormai alle porte, ma Napoli è già tinta d’azzurro con sfumature tricolore. È il grande giorno, manca solo un piccolo ultimo passo verso lo scudetto. Al San Paolo arriva una Lazio che non ha più nulla da chiedere al campionato: Maradona e co. sono padroni del proprio destino. Con un pareggio il tricolore è assicurato.

Gli ultimi 90 minuti

 

23.153 paganti, 39.346 abbonati, con ‘O surdato ‘nnammurato’ che accompagna gli azzurri dagli spalti. Il San Paolo è un tripudio di bandiere, la festa è già iniziata, nonostante manchino ancora 90 minuti. Intanto le vie di Napoli sono pronte ad accogliere il secondo scudetto: la Lazio non sembra in grado di poter rovinare la festa. E se in campo hai Diego Armando Maradona, la storia la porti a termine senza particolari sforzi. Il Pibe è scatenato – tutta la Seleccion e il tecnico Bilardo fanno il tifo per lui dalla tribuna -, sembra tornato quello guizzante di Mexico ’86, “el genio del futbol Mundial”. Anche se a volare in aria, leggero e imponente come un “aquilone cosmico”, c’è Marco Baroni. Quando scocca il settimo minuto, ecco il primo boato di giornata. Diego guadagna una punizione sulla trequarti, la sua battuta è tesa e tagliata: Baroni sale in cielo e batte imperiosamente il portiere laziale Fiori. Sarà lui il migliore in campo tra gli ospiti, incapaci di reagire in una contesa che già sembra terminata dopo appena sette giri d’orologio. Sì perché, il sigillo di Baroni resterà per sempre il gol scudetto: ancora oggi a distanza di 31 anni, l’istantanea del suo volo è una preziosa cartolina per il popolo partenopeo. Eccolo il secondo boato, quando l’arbitro Sguizzato riceve direttamente la sfera dalle mani dell’indimenticato Giuliano Giuliani, per alzare le braccia e fischiare tre volte, decretando l’inizio ufficiale di una festa che sugli spalti già impazza da ore. Un campionato entusiasmante, tra agganci in vetta, sorpassi e controsorpassi, fino a quella monetina, seguita dalla Fatal Verona 2.0, una distrazione troppo grande per non essere pagata a caro prezzo dai rossoneri. Due scudetti nell’arco di tre anni, grazie a Diego, grazie a Ferlaino, ma anche grazie a Bianchi, Bigon e tutti gli altri. Un capolavoro architettato dal presidente, che può fregiarsi di qualcosa di unico e straordinario.

La “festa” rossonera

 

Nel frattempo a Bergamo – il Milan gioca lì per la rizollatura di San Siro in vista dei Mondiali – finisce anche il campionato dei grandi rivali, quel Milan di Sacchi che aveva beffato gli azzurri nel 1988 e che adesso viene ripagato con la stessa “monetina”. Una beffa secondo i rossoneri, ai quali però restano solo lacrime da versare proprio su quella monetina. Il Napoli, prima del solenne 1-0 sui biancocelesti, in casa aveva perso solo 1 dei 34 punti a disposizione, contro la Sampdoria, squadra che tra un anno gli scucirà lo scudetto dal petto. Una marcia costruita tra le mura amiche, continuità che è mancata alla squadra di Sacchi, che ha invece costruito la sua classifica sui successi in trasferta. Al Comunale di Bergamo i rossoneri chiudono la stagione con un 4-0 sul Bari. L’urlo a fine gara tra i salti dei tifosi rossoneri che portano in trionfo Arrigo Sacchi è un consolatorio, ma irreale: “Campioni siamo noi”. Dalla festa che si scatena per le vie di Napoli e negli spogliatoi azzurri, non si direbbe. Sacchi parlerà, si complimenterà con la squadra e con la gente di Napoli: “Loro meritano lo scudetto”. Ma i suoi complimenti saranno dedicati solo ed esclusivamente a calciatori e tifosi. A dimostrazione di un’accesa rivalità che ha illuminato il calcio italiano degli ultimi anni, portandosi dietro decisioni arbitrali che fanno riflettere ancora oggi con la Var, figuriamoci 31 anni fa.

Maradona, un fenomeno anche col microfono

 

Mezzi nudi e con il sudore spazzato via dallo champagne che scorre a fiumi, i giocatori azzurri festeggiano cantando “chi non salta rossonero è”. È questa la risposta dagli spogliatoi del San Paolo, dove la festa è reale e dove il grande intruso è il “Bisteccone”, Giampiero Galeazzi. L’inviato della Rai ha la trovata geniale: “Per la festa del Napoli Maradona speaker. Vai con le interviste. Vai. Vai!”. Diego si destreggia nello spogliatoio con il microfono in mano. La prima vittima è Ferlaino, poi Crippa, Carnevale, Alemao, Bigon, perfino il massaggiatore Carmando. Una scenetta epica che i tifosi di tutta Italia hanno avuto la fortuna di poter vedere nella Domenica Sportiva condotta dal mitico Sandro Ciotti. Maradona dimostra di saperci fare anche con il microfono, punzecchiando con ironia il suo presidente, il suo allenatore e i suoi compagni. Tra un sorso di champagne e l’indimenticabile parlantina dell’argentino, il tema principale è il futuro. Bigon annuncia la sua firma per la prossima stagione, mentre le belle parole di Carnevale sanno di addio. Nonostante “debba parlare con il presi”, Diego vuole giocare la Coppa dei Campioni: i tifosi non volevano sentirsi dire altro.

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