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CdS-Napoli sembra non crederci

di Ivan Zazzaroni

Del Napoli di Spalletti mi sta impressionando la pazienza. Avete presente quando le telecamere inquadrano Allegri mentre urla «calma!, calma!» a Chiesa, Bernardeschi e compagnia? Succede praticamente ad ogni partita della Juve e anche più volte nella stessa. Spalletti non ha bisogno di richiami di questo genere perché i suoi hanno imparato a ragionare e a gestire i momenti, le situazioni. Merito del lavoro dell’allenatore, è chiaro, ma anche della ritrovata guida sul campo, il miglior regista del campionato, Fabian Ruiz: con un sinistro raffinato e una testa veloce rende trascurabile la lentezza del passo. Il suo calcio meditato e risolto è tra le cose più belle viste nei primi due mesi e mezzo.

Il successo su un Bologna decisamente impoverito dalle squalifiche (Soriano, Soumaoro) e dalle urgenze conservative di Mihajlovic (Arnautovic) era scontato: costretto a presentare De Silvestri tra i centrali difensivi e Mbaye quinto di centrocampo, il Bologna ha mosso il pallone con buona disinvoltura, ma senza il naturale riferimento avanzato ha prodotto assai poco. Non era certamente questa la partita da punti.  Per qualche strana ragione, che Max Gallo ha provato a spiegare nelle pagine interne, alla crescita del Napoli non corrisponde la giusta risposta della città: si registra un evidente difetto di partecipazione ed è un fatto curioso e sorprendente, trattandosi di una delle tifoserie più appassionate al mondo. Napoli sembra non crederci, dunque. O non del tutto. Si avverte infatti un insolito profumo di cambiamento che il duello-scudetto col Milan e il vantaggio accumulato sulle avversarie avrebbero già dovuto trasformare in un altro profumo, quello del sogno.

Partendo proprio dalla “fuitina” mi sono divertito a ridurre Napoli-Milan a un personale uno contro uno: un giochino da bar e radiofonico, il confronto tra individualità (le titolarità) in uno sport di gruppo nel quale il collettivo determina, ma il fuoriclasse risolve. Troppe sono le variabili (cali di rendimento, infortuni, squalifiche, positività, coppe d’Africa, danni da sosta delle nazionali) eppure l’esercizio conserva il suo fascino, il suo perché. Tra Ospina e Maignan, al momento assente, scelgo il secondo: il portiere colombiano prevale però su Tatarusanu; tra Di Lorenzo e Calabria il primo, anche se gradirei che limitasse la soluzione della palla indietro: sa tanto di mancanza di coraggio, quando diventa sistematica. Tomori lo preferisco a Rrahmani, Koulibaly a Kjaer, Theo Hernandez a Mario Rui. Nettamente. E siamo tre a due per il Milan anche se il Napoli ha, al momento, numeri eccezionali: in sette partite su dieci non ha subìto gol. A centrocampo Anguissa mi piace più di Kessie e Fabian di Tonali, al di là delle differenze nell’interpretazione del ruolo. Politano è più continuo di Saelemaekers, Osimhen batte Rebic o Giroud (Ibra è fuori concorso). Tra Zielinski e Brahim Diaz e Leao e Insigne è una gran bella gara: voto comunque l’attuale Brahim e Lorenzo per la maturità che sta esprimendo, ricordando che di Leao sono un sincero estimatore. La partita delle seconde linee premia il Milan soprattutto dietro: entrambe le squadre hanno attaccanti in abbondanza. Complicata è la scelta tra gli allenatori: considero Spalletti uno dei più forti d’Europa nei princìpi tattici e nella lettura della gara, ma l’ultimo Pioli ha raggiunto la piena maturità. Lo prova qualche schematismo riscattato dalla ricchezza profusa nell’analisi e nella serenità che trasmette.

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